Anatomia affettuosa di una bicicletta

di Beniamino Sidoti

Battistrada

Nella bici i disegni sono funzionali a qualcosa, a un incontro, a un movimento: così anche il disegno che percorre le gomme, che ha un nome da ciclista vincente, “battistrada”.

Quel disegno non è decoro tribale da avvolgere il polpaccio, non è greca vezzosa da tovaglia a stampa romagnola, non è salvaschermo – è un’idea programmatica della strada che si vuole affrontare. E allora il battistrada è duro e dentato, pronto a masticare montagne, oppure è liscio e appena scanalato, come di chi vuole pettinare l’asfalto, o ancora è pronto alla frenata.

Il battistrada è il segno che il ciclista lascia sul pantalone bianco di chi incontra la sua gomma, ed è la parte che vede il cielo quando la bici dorme sognando appoggiata sul sellino.

Campanello

C’è un’età in cui la parte fondamentale della bici è lì, sul manubrio: ed è il campanello.

Perché a quell’età misuri il mondo dal rumore che può fare: e se la bici non ne fa abbastanza puoi sempre incastrare sul carter una carta da gioco, perché rimbombi come una moto.

Il campanello è nella bici per estetica qualcosa di puramente meccanico – non deve vibrare o soffiare, ma tinnire e battere. Ha un passaggio dentato che fa battere veloce su una cupola metallica, e che lo fa scampanellare: e per qualche strana ragione di etologia stradale, tutti i mezzi producono rumori diversi, e le trombe sono riservate a camion e bus, e alle bici restano i vibrati del percussionista. Il campanello è fatto per essere suonato e suonato ancora, il campanello suona sempre due volte: e deve mettere allegria e fare festa in gruppo, fare coro e baccano.

Catena

Dentro la bici convivono due catene: una di gioia e una di paura.

La catena di gioia collega due ingranaggi, e trasmette movimento, emozione, entusiasmo: è infatti una catena di trasmissione.

La catena di paura sta invece lì, in attesa di essere usata per incatenare il mezzo contro i ladri di biciclette, creature mitologiche e onnipresenti, in grado di prendere qualsiasi mezzo non sia abbastanza incatenato.

La catena di gioia ogni tanto ha dei crolli, e cade. Allora va tirata su con sospiri di felicità, inzaccherandosi di morchia, girando la bici e facendole respirare la vita sottosopra, per poi riappoggiarla al terreno.

Cavalletto

Le bici, prima di essere bici, erano creature selvagge che scorrazzavano liberamente. Erano raggi, ma di luce. Erano cavalli senza sellini. Erano cavallette che fatte prigioniere si trasformavano in cavalletti, con un cambio di sesso che dona loro un’apparenza rigida e metallica.

Il cavalletto ha un’anima artistica: quando lo si allunga per tenere ferma la bici, senza appoggiarla per terra o a un muro, il cavalletto sa di portare un’opera d’arte: esattamente come i cavalletti dei pittori o dei fotografi. E allora fa piccoli salti di gioia.

Cestino

Sul manubrio, o dietro il sellino, si possono sistemare dei portapacchi – che a loro volta possono portare cestini o seggiolini.

Dinamo

La bici è sempre elettrica solo in un punto, perché per il resto è orgogliosamente meccanica: quando vuole illuminare il mondo. La dinamo è una piccola ruota che gira accanto alla ruota più grande, e che poi fa girare ancora un magnete intorno a un filo, o viceversa, e che così produce corrente e illumina. Come i ciclisti, la dinamo è autarchica: produce tutto ciò di cui si ha bisogno, compresa l’energia – perché il ciclista sa di essere energia pura quando si muove, una centrale termica che sfida vento e sole, altro che energie rinnovabili.

Forcella

Mentre il resto della bici è pensato per muoversi, una parte deve stare ferma: è la forcella. Mentre nelle chiome la forcella tiene fermi i capelli, nelle bici tiene ferma la ruota. La forcella è un diapason al posto sbagliato, fatto per non vibrare; è un osso di pollo che desideriamo non si debba mai rompere; è un albero che si divide, crescendo verso il basso; è una valle stretta, in cui si incastra la ruota invisibile del mondo, che gira, che gira.

Manubrio

La bici è un arnese vario, che si adatta e trasforma con le nostre esigenze: prendiamo il manubrio, per esempio, che come dice la parola è fatto per appoggiare le mani; eppure è anche fatto per andare senza mani, o per portare una persona seduta, o per portare sacchi e sacchetti, o per portare a passeggio la bicicletta tenendola al passo, senza cavalcarla.

Il manubrio è la parte della bici che più ambisce al contatto con il proprietario, ci vuole chinati ad adorarlo, stretti intorno ai freni, o predisposti al cambio. Il manubrio, che è quasi umano, contiene i comandi del mezzo, dal campanello alle marce, e fa di tutto per far sudare le nostre mani.

Il manubrio vuole marchiare i ciclisti, e lo fa appena possibile, lasciando una piccola cicatrice esattamente sotto il mento, a forma di manubrio: a differenza di altre cavalcature, infatti, è la bici a marchiare il ciclista e non viceversa.

Pedale

I pedali portano l’impronta del ciclista, e si contorcono nei dolori tipici della mancanza di rispetto: si piegano di fronte al ciclista che spinge, saltano schiacciando cuscinetti a sfera per colpa del ciclista che non ha morbida la pedalata.

Il pedale quando vuole fare il tecnico si veste di ramponi e punte, oppure di buchi su misura, per invitare uno scarpino e uno solo, come se volesse evidenziare il suo essere servile, ai piedi del padrone.

Il pedale vive accanto al cavalletto – e lo odia cordialmente.

Raggio

La bici è un oggetto abitato da comunità plurali e laboriose, da colonie di cose che agiscono in sincrono: non formiche e api, ma raggi e ingranaggi, maglie e anelli di catene, fili in acciaio e aria che si sposta dentro e fuori. I raggi sono il segno di questa comunità, una solidarietà all’interno di un cerchione – i raggi della bici non vanno verso fuori come quelli del sole, ma si rivolgono al mozzo, al centro del cerchio. E sostengono e si dividono un peso, e vanno per questo registrati e ascoltati, perché il peso sia ben distribuito e nessun raggio debba rompersi – perché danneggiare un raggio è incrinare la fiducia dell’intera ruota.

Ruota

Apparentemente la ruota non fa altro che girare: è quello che può sembrare a un ignaro osservatore, a uno studentello di fisica o a chiunque voglia vedere nel mondo le cose soltanto girare.

Invece la ruota sostiene, curva, ed è misura di tutta la bici: sì, tecnicamente è così, perché una bici del 26 è quella che ha una ruota con quel diametro lì, misurato in pollici. La ruota è la misura della bici, perché tutta la bici sostiene, curva e dirige.

Il ciclista ha un’adorazione cauta per le sue ruote: le controlla, inginocchiandosi davanti; e le fa girare e le ascolta in cerca di rumori strani; e le guarda dall’alto, cercando di capire come si muovono. E si porta dietro sempre qualcosa per riparare le ruote, i raggi o il tubolare o la gomma o il mozzo.

E se deve fotografarsi con la bici, la ruota sarà l’aureola del ciclista.

Sellino

Il ciclista inesperto si concentra sul sellino, e immagina il suo rapporto con la bici in termini di chiappe e di durezza, pensando a come sentirà il mondo leggendo le sue buche con il fondoschiena. Dopo poco la bici è già un’estensione del proprio corpo, e il sellino dovrà essere ben saldo, poco appiccicoso, solido e regolabile. Ed è naturale: stiamo scegliendo se affidare il nostro sedere a qualcosa con cui stiamo qualche ora o con cui faremo un lungo pezzo di strada, e allora conta di più la sua solidità, il suo assomigliarci, e non la sua morbidezza.

Il sellino è un berretto ottimista che si piazza sulle chiappe e le porta lontano.

Telaio

La parte che tiene insieme il tutto, che tesse la bici nella sua interezza: ma anche la parte che ospita il e la ciclista. Sul telaio, sul tubo, o in piedi sui pedali, appoggiati sul sellino, le persone sono più belle – le gambe si fanno più lunghe, i sederi più sorridenti, le pance diventano memorie felici.

Il telaio è lì, a tessere insieme ciò che siamo e ciò che muoviamo.